Proseguiamo con l’ultimo della serie dei contributi (qui, qui e qui i precedenti) che illustrano i principali punti chiave della Dichiarazione Dignitas infinita del Dicastero per la Dottrina della Fede.
La dignità come fondamento dei diritti e dei doveri
Il terzo capitolo propone una riflessione sul concetto di dignità, sulla struttura relazionale della persona e sulla sua liberazione dai condizionamenti morali e sociali.
Concetto di dignità
Alcune formulazioni linguistiche insistono nel parlare di “dignità personale” (i relativi diritti “della persona” e non di “dignità della persona”, intendendo come «persona solo “un essere capace di ragionare”» (DI 24). In questo modo la dignità e i diritti deriverebbero dalla capacità di conoscenza e libertà, ovvero godrebbero di dignità e di diritti solo gli esseri umani che presentano tali capacità. Il bambino ancora nato, l’anziano non autosufficiente, il disabile mentale non avrebbero dignità. Ma «la Chiesa, al contrario, insiste sul fatto che la dignità di ogni persona umana, proprio perché intrinseca, rimane “al di là di ogni circostanza”, ed il suo riconoscimento non può assolutamente dipendere dal giudizio sule capacità di intendere e di agire liberamente delle persone» (DI 24).
Il concetto di dignità viene talvolta usato come giustificazione di nuovi diritti, spesso in contrasto anche con il diritto fondamentale alla vita. La radice di queste distorsioni è la comprensione della libertà come isolata ed individualistica: libertà così è «garantire la capacità di esprimere e di realizzare ogni preferenza individuale o desiderio soggettivo» (DI 25). Questo però contraddice l’essenza stessa della dignità, perché essa «non può essere basata su standard meramente individuale né identificata con il solo benessere psicofisico dell’individuo» (DI 25).
Struttura relazionale della persona
La comprensione corretta della libertà, che sfocia in una giusta concezione della dignità, passa necessariamente attraverso il riconoscimento che la persona ha un carattere relazionale: solo con la consapevolezza che l’essere umano è costitutivamente essere-in-relazione si può evitare di «limitare la dignità umana alla capacità di decidere discrezionalmente di sé e del proprio destino, indipendentemente da quello degli altri, senza tener presente l’appartenenza alla comunità umana» (DI 26). Questa costitutiva apertura all’altro, da cui deriva anche «la capacità, insita nella stessa natura umana, di assumersi degli obblighi verso gli altri» (DI 27), rimarca la prospettiva comunitaria in cui si inscrive la dignità di ciascuno: il rispetto della dignità richiede necessariamente che «ci si prenda cura gli uni degli altri» (DI 26).
La Dichiarazione poi afferma una differenza tra l’essere umano e gli altri esseri viventi: solo in relazione all’essere umano si parla di “dignità”, mentre per il resto del creato si parla di “bontà creaturale”. Quindi esiste una differenza di ordine ontologico tra l’essere umano e un qualunque altro essere vivente, differenza che è espressa anche attraverso il concetto di dignità. Questa sottolineatura sembrerebbe essere una risposta a certe istanze della cultura contemporanea che – sulla base di una certa lettura dei risultati di ricerche in vari campi del sapere (antropologia culturale, paleontologia, etnologia…) – affermano una non netta separazione tra mondo umano e mondo animale e vegetale (arrivando anche a sostenere una non diversità tra realtà organica e non organica). Se da un certo punto di vista, l’essere umano è diverso dal resto del creato, d’altra parte la giusta relazione che tra i due deve instaurarsi è espressa dall’antropocentrismo situato: l’essere umano è compreso in relazione alle altre creature e all’ambiente, verso i quali è chiamato ad avere un rapporto di cura.
Liberazione dai condizionamenti morali e sociali
Ogni persona vive in uno spazio e un tempo determinati, immersa in un contesto storico fatto di relazioni e di condizionamenti di varia natura. Se è vero che, in virtù del battesimo, ognuno è capace di rimanere in una condizione veramente libera, non si può negare che la realtà circostante influenzi la libertà: «non sarebbe, inoltre, realistico affermare una libertà astratta, esente da ogni condizionamento, contesto o limite» (DI 31), sia esso di ordine economico, sociale, giuridico, politico e culturale. La libertà pertanto è sempre una libertà situata che va liberata (cfr. Gal 5,1): se «la libertà è frequentemente oscurata da tanti condizionamenti psicologici, storici, sociali, educativi, culturali», allora essa «ha sempre bisogno di essere “liberata”» (DI 31).
Davide Ambu