La Dichiarazione Dignitas infinita circa la dignità umana/4

La Dichiarazione Dignitas infinita circa la dignità umana/4

La Dichiarazione Dignitas infinita circa la dignità umana/4 

Proseguiamo con l’ultimo della serie dei contributi (qui, qui e qui i precedenti) che illustrano i principali punti chiave della Dichiarazione Dignitas infinita del Dicastero per la Dottrina della Fede.

La dignità come fondamento dei diritti e dei doveri

Il terzo capitolo propone una riflessione sul concetto di dignità, sulla struttura relazionale della persona e sulla sua liberazione dai condizionamenti morali e sociali.

Concetto di dignità

Alcune formulazioni linguistiche insistono nel parlare di “dignità personale” (i relativi diritti “della persona” e non di “dignità della persona”, intendendo come «persona solo “un essere capace di ragionare”» (DI 24). In questo modo la dignità e i diritti deriverebbero dalla capacità di conoscenza e libertà, ovvero godrebbero di dignità e di diritti solo gli esseri umani che presentano tali capacità. Il bambino ancora nato, l’anziano non autosufficiente, il disabile mentale non avrebbero dignità. Ma «la Chiesa, al contrario, insiste sul fatto che la dignità di ogni persona umana, proprio perché intrinseca, rimane “al di là di ogni circostanza”, ed il suo riconoscimento non può assolutamente dipendere dal giudizio sule capacità di intendere e di agire liberamente delle persone» (DI 24).

Il concetto di dignità viene talvolta usato come giustificazione di nuovi diritti, spesso in contrasto anche con il diritto fondamentale alla vita. La radice di queste distorsioni è la comprensione della libertà come isolata ed individualistica: libertà così è «garantire la capacità di esprimere e di realizzare ogni preferenza individuale o desiderio soggettivo» (DI 25). Questo però contraddice l’essenza stessa della dignità, perché essa «non può essere basata su standard meramente individuale né identificata con il solo benessere psicofisico dell’individuo» (DI 25).

Struttura relazionale della persona

La comprensione corretta della libertà, che sfocia in una giusta concezione della dignità, passa necessariamente attraverso il riconoscimento che la persona ha un carattere relazionale: solo con la consapevolezza che l’essere umano è costitutivamente essere-in-relazione si può evitare di «limitare la dignità umana alla capacità di decidere discrezionalmente di sé e del proprio destino, indipendentemente da quello degli altri, senza tener presente l’appartenenza alla comunità umana» (DI 26). Questa costitutiva apertura all’altro, da cui deriva anche «la capacità, insita nella stessa natura umana, di assumersi degli obblighi verso gli altri» (DI 27), rimarca la prospettiva comunitaria in cui si inscrive la dignità di ciascuno: il rispetto della dignità richiede necessariamente che «ci si prenda cura gli uni degli altri» (DI 26).

La Dichiarazione poi afferma una differenza tra l’essere umano e gli altri esseri viventi: solo in relazione all’essere umano si parla di “dignità”, mentre per il resto del creato si parla di “bontà creaturale”. Quindi esiste una differenza di ordine ontologico tra l’essere umano e un qualunque altro essere vivente, differenza che è espressa anche attraverso il concetto di dignità. Questa sottolineatura sembrerebbe essere una risposta a certe istanze della cultura contemporanea che – sulla base di una certa lettura dei risultati di ricerche in vari campi del sapere (antropologia culturale, paleontologia, etnologia…) – affermano una non netta separazione tra mondo umano e mondo animale e vegetale (arrivando anche a sostenere una non diversità tra realtà organica e non organica). Se da un certo punto di vista, l’essere umano è diverso dal resto del creato, d’altra parte la giusta relazione che tra i due deve instaurarsi è espressa dall’antropocentrismo situato: l’essere umano è compreso in relazione alle altre creature e all’ambiente, verso i quali è chiamato ad avere un rapporto di cura.

Liberazione dai condizionamenti morali e sociali

Ogni persona vive in uno spazio e un tempo determinati, immersa in un contesto storico fatto di relazioni e di condizionamenti di varia natura. Se è vero che, in virtù del battesimo, ognuno è capace di rimanere in una condizione veramente libera, non si può negare che la realtà circostante influenzi la libertà: «non sarebbe, inoltre, realistico affermare una libertà astratta, esente da ogni condizionamento, contesto o limite» (DI 31), sia esso di ordine economico, sociale, giuridico, politico e culturale. La libertà pertanto è sempre una libertà situata che va liberata (cfr. Gal 5,1): se «la libertà è frequentemente oscurata da tanti condizionamenti psicologici, storici, sociali, educativi, culturali», allora essa «ha sempre bisogno di essere “liberata”» (DI 31).

Davide Ambu

 

 

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La Dichiarazione Dignitas infinita circa la dignità umana/4

La Dichiarazione Dignitas infinita circa la dignità umana/3

La Dichiarazione Dignitas infinita circa la dignità umana/3 

Proseguiamo con la serie dei contributi (qui e qui i precedenti) che illustrano i principali punti chiave della Dichiarazione Dignitas infinita del Dicastero per la Dottrina della Fede.

Motivazioni teologiche circa la dignità umana

Il secondo capitolo, dai tratti più marcatamente teologici, riguarda le motivazioni per cui «la Chiesa proclama l’uguale dignità di tutti gli esseri umani, indipendentemente dalla loro condizione di vita o dalle loro qualità» (DI 17). Si tratta in sostanza di tre ragioni, legate a tre fondamentali realtà della fede cristiana: l’uomo creato a immagine di Dio (creazione), l’uomo pienamente rivelato da Gesù Cristo (incarnazione) e l’uomo chiamato alla comunione con Dio (resurrezione).

L’uomo creato a immagine di Dio

La Rivelazione mostra il legame fondativo tra l’essere umano e Dio: il racconto fondativo di Gen 1 stabilisce un rapporto originario e originante tra i Creatore e la creatura, plasmata dalla terra a immagine somigliante divina. È per questa provenienza, testimoniata dalla presenza dell’impronta di Dio su ogni essere umano (Gen 1,26) che la creazione getta luce sulla dignità umana: Dio ha creato l’uomo affinché lo conoscesse, lo amasse e stabilisse rapporti di fraternità e pace con gli altri esseri creati. Stando fedeli alla mentalità ebraica che sta dietro il racconto di creazione, l’essere umano è considerato come un’unità organica (nel mondo ebraico non erano presenti le distinzione tra corpo e anima). Così, se la creatura partecipa dell’immagine di Dio in ogni fibra e dimensione del suo essere, «la dignità si riferisce non solo all’anima, ma alla persona come unità inscindibile, e dunque inerisce anche al suo corpo» (DI 18).

Si può notare come il testo proponga una visione olistica dell’uomo, tenendo insieme le due dimensioni di anima e corpo di matrice greca. Avendo citato Gen 1,26 sarebbe però stato più opportuno insistere su una terminologia biblica più corrispondente alla cultura in cui il racconto fondativo della creazione dell’essere umano ha avuto origine. Inoltre, fondare teologicamente la dignità sulla creazione garantisce che essa sia proprietà costitutiva di ogni essere umano anche non cristiano.

L’uomo pienamente rivelato da Gesù Cristo

Oltre ad essere stato creato a immagine e somiglianza di Dio, l’essere umano è creato a immagine del Figlio, colui che del Padre è «immagine del Dio invisibile [εἰκὼν τοῦ θεοῦ τοῦ ἀοράτου]» (Col 1,15; cfr 2Cor 4,4). Con l’assunzione della carne, il Verbo di Dio «ha confermato la dignità del corpo e dell’anima costitutivi dell’essere umano» (Dignitas personæ, 7), poiché in virtù dell’incarnazione Cristo si è legato in qualche modo ad ogni uomo (GS 22). Da questo discende che «ogni essere umano possiede una dignità inestimabile, per il solo fatto di appartenere alla stessa comunità umana» (DI 19). Inoltre, non solo per la sua natura teandrica (umano-divina) ma anche per le sue opere (che l’hanno espressa), Cristo ha rivelato pienamente la dignità di ogni persona: con l’annuncio dell’appartenenza del Regno ai poveri e agli uomini, le guarigioni dalle malattie fisiche e spirituali egli ha rivelato che «l’essere umano è tanto più “degno” di rispetto e di amore quanto più è debole, misero e sofferente» (DI 19).

L’uomo destinato alla comunione con Dio

L’essere umano è destinato alla comunione con Dio: scopo autentico della sua esistenza è l’unione con il suo Creatore, che lo ha da sempre chiamato all’eterna felicità dello stare con lui. In altri termini, la resurrezione di Cristo illumina ulteriormente la dignità della persona. Infatti la dignità dell’essere umano «non è legata solo alle sue origini, al suo venire da Dio, ma anche al suo fine, al suo destino di comunione con Dio» (Evangelium vitæ, 38).

A questa chiamata, l’uomo può corrispondere con la propria libera decisione in una dinamica chiarita dalla distinzione tra immagine e somiglianza di Genesi. Se da una parte l’immagine di Dio non può essere cancellata e perciò la dignità non può mai essere persa, dall’altra la somiglianza a cui ciascuno è chiamato può essere avvicinata se ci si orienta verso il bene, cercando di vivere all’altezza della propria dignità. Così è possibile comprendere «in che senso il peccato possa ferire ed offuscare la dignità umana, come atto contrario ad essa, ma, nello stesso tempo, che esso non può mai cancellare il fatto che l’essere umano sia stato creato ad immagine di Dio» (DI 22).

Davide Ambu

 

 

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La Dichiarazione Dignitas infinita circa la dignità umana/4

La Dichiarazione Dignitas infinita circa la dignità umana/2

La Dichiarazione Dignitas infinita circa la dignità umana/2 

Proseguiamo con la serie dei contributi (qui il primo) che illustrano i principali punti chiave della Dichiarazione Dignitas infinita del Dicastero per la Dottrina della Fede.

La definizione boeziana di persona (DI 9)

L’introduzione si conclude con un’analisi della definizione classica di persona di Boezio, «sostanza individuale di natura razionale», che va a significare e precisare tutti i termini. Per «sostanza individuale» si intende che la persona è «un soggetto che, ricevendo da Dio l’esistenza, “sussiste”, vale a dire esercita l’esistenza in modo autonomo», per cui la persona gode di dignità ontologica al livello metafisico dell’essere. Per «razionale» si fa riferimento a «tutte le capacità di un essere umano»: non solo le facoltà intellettuali del conoscere e comprendere, ma anche quelle del volere, dell’amare, dello scegliere e del desiderare e quelle corporee ad esse connesse. Si rimarca in questo modo l’importanza della dimensione corporea dell’uomo, spirito incarnato, evitando dualismi anima/corpo di matrice platonica o cartesiana. Il termine «natura» si riferisce alle «condizioni proprie dell’essere umano che rendono possibili le varie operazioni ed esperienze che lo caratterizzano»: la natura è intesa come il «principio dell’agire». Tale natura è un dono ricevuto da far fruttificare nel tempo.

Con queste precisazioni, che distinguono tra sostanza individuale e natura, la Dichiarazione può affermare che se per qualche causa la persona non è capace di mettere in atto le proprie capacità (natura), essa «sussiste sempre come “sostanza individuale” con tutta la sua inalienabile dignità» (ciò vale ad esempio per l’embrione, in chi è privo di sensi, nei momenti terminali dell’esistenza).

La scelta di riferirsi alla definizione boeziana di persona àncora l’argomentazione della dignità alla categoria metafisica di sostanza e riprende il modello classico circa le facoltà dell’essere umano (intelletto e volontà), integrando maggiormente la dimensione corporea. Si assiste quindi ad una ripresa di un linguaggio più proprio della filosofia scolastica, che può segnare un limite nel dialogo con le istanze culturali del mondo contemporaneo, per le quali il lessico classico non è sempre condiviso (ad esempio per le correnti transumaniste e postumaniste). D’altra parte, la sottolineatura delle capacità corporee significate dal termine «razionale» può essere una risposta alle correnti che svalutano il valore antropologico del corpo.

La progressiva consapevolezza della centralità della dignità umana

Il primo capitolo della Dichiarazione traccia una traiettoria ascendente circa la consapevolezza dell’importanza della dignità umana: partendo dall’antichità classica, passando per il mondo biblico e per il pensiero cristiano, viene proposto in estrema sintesi uno sviluppo storico che giunge fino ai tempi odierni. Data la brevità della trattazione, è possibile che il capitolo fosse in origine più articolato e che nelle varie modifiche abbia ricevuto non poche semplificazioni (la traiettoria biblica sulla dignità è tracciata in soli due paragrafi, uno per Testamento).

Se nell’antichità classica l’idea di dignità umana, inizialmente legata all’ambito sociale, viene intesa cosmologicamente (tutti gli esseri hanno dignità propria in base alla loro collocazione nel cosmo) (DI 10), la Rivelazione biblica insiste sul fondamento teologico della dignità dell’uomo, creato a immagine e somiglianza di Dio: «essere creati a immagine di Dio significa, pertanto, possedere in noi un valore sacro che trascende ogni distinzione sessuale, sociale, politica, culturale e religiosa» (DI 11). Escludendo ogni forma di riduzionismo (materiale, psichico, spirituale), il termine «immagine» raccoglie il significato della dignità dell’uomo e della donna. È ciò che viene rivelato nell’Esodo, insegnato nel Codice deuteronomico (Dt 12-16), richiamato con forza dai profeti (con l’attenzione al povero, alla vedova, all’orfano) e ripreso nella letteratura sapienziale. La stessa cura da riservare ad ogni uomo, in quanto creatura scelta e amata da Dio, è quella che viene annunciata da Cristo: l’interesse per degli “scartati” o emarginati (esattori delle tasse, donne, bambini, lebbrosi, ammalati, forestieri, vedove…) rivela «il valore e la dignità di tutti coloro che portano l’immagine di Dio» (DI 12).

Sviluppi storici 

La creazione ad immagine e somiglianza è anche la base dell’antropologia cristiana proposta dalla sintesi patristica. Accogliendo criticamente il pensiero filosofico antico, il pensiero cristiano medievale poi riconosce il ruolo singolare dell’uomo nella creazione, ritenendo «la persona come quanto più di nobile c’è in tutto l’universo» (S. Tommaso d’Aquino). La dignità ontologia ha trovato posto anche in pensatori moderni come Cartesio e Kant e nel personalismo del XX secolo con la riflessione sulla soggettività inter-relazionale. Nella nostra età contemporanea, il termine “dignità” ha trovato espressione nella Dichiarazione dei diritti dell’uomo del 1948 «per sottolineare il carattere unico della persona umana, incommensurabile rispetto agli altri esseri umani» (DI 14). Ma è bene evidenziare che «la dignità non viene concessa dalla persona ad altri esseri umani», perché è intrinseca alla persona, e quindi non può essere né conferita a posteriori né revocata o perduta (DI 15). Su questa linea si pone anche il Concilio Vaticano II, in particolare nella sua Dichiarazione Dignitatis humanæ.

È interessante notare come la Dichiarazione si ponga in una prospettiva di dialogo critico e accogliente (e non di rigetto e condanna). Ad esempio, circa la visione moderna, di filosofi come Cartesio e Kant da un lato si ammette che «hanno messo in discussione alcuni dei fondamenti dell’antropologia classica» e dall’altro si riconosce che in essi – per quanto riguarda la concezione della dignità umana – «si possono avvertire con forza echi della Rivelazione» (DI 13). Anche il riferimento non sporadico alla Dichiarazione dei diritti dell’uomo attesta la volontà di porsi in confronto positivo con il mondo, pur affermando con fermezza la propria posizione (quando, ad esempio, si rimarca la caratteristica intrinseca della dignità, che non può essere conferita – e quindi revocata – da nessuno).

Davide Ambu

 

 

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La Dichiarazione Dignitas infinita circa la dignità umana/4

La Dichiarazione Dignitas infinita circa la dignità umana/1

La Dichiarazione Dignitas infinita circa la dignità umana/1  

Proponiamo una serie di contributi che vogliono illustrare i principali punti chiave della Dichiarazione Dignitas infinita del Dicastero per la Dottrina della fede, commentandone alcuni aspetti a partire dal dato testuale.

La Dichiarazione Dignitas infinita del Dicastero per la Dottrina della fede, del 2 aprile scorso, si pone come il punto di arrivo di una lunga riflessione sul tema della dignità umana. Il documento, aperto da una presentazione a firma del prefetto Card. Victor Manuel Fernandez, si compone di quattro capitoli, con un’introduzione e una conclusione, per un totale di da 66 paragrafi.

L’articolata storia del testo

Il documento ha avuto una genesi molto lunga durata 5 anni: le discussioni iniziarono nel marzo 2019 quando «decise di avviare “la redazione di un testo evidenziando l’imprescindibilità del concetto di dignità della persona umana all’interno dell’antropologia cristiana e illustrando la portata e le implicazioni benefiche a livello sociale, politico ed economico, tenendo conto degli ultimi sviluppi del tema nell’ambito accademico e delle sue ambivalenti comprensioni nel contesto odierno”».

Il primo testo proposto, ritenuto insoddisfacente, fu rivisto e ripresentato nel 2021; la Sessione Plenaria della Congregazione, nel gennaio 2022, rivide il documento abbreviandolo e semplificandolo. La nuova bozza, emendata nel corso del 2023, ha ricevuto ulteriori modifiche, su indicazione di Papa Francesco che ha «chiesto di evidenziare nel testo tematiche strettamente connesse al tema della dignità, come ad esempio il dramma della povertà, la situazione dei migranti, le violenze contro le donne, la tratta delle persone, la guerra ed altre». Dopo una globale revisione, il testo ha subìto cambiamenti importanti ed è stato approvato dalla Sessione Ordinaria del Dicastero alla fine del febbraio 2024 ed è stata poi approvata dal Papa il 25 marzo 2024.

I capisaldi dell’Introduzione

La lunga gestazione del testo fa comprendere l’importanza e la delicatezza del tema trattato: la dignità di ogni persona umana, una dignità definita «infinita, inalienabilmente fondata nel suo stesso essere» (DI 1). Tale dignità va riconosciuta e rispettata per ogni persona «al di là di ogni circostanza e in qualunque stato i situazione si trovi» (DI 1): ciò significa che non esiste nessun caso concreto e reale per il quale la dignità della persona possa cessare di esistere. La dignità dunque “accompagna” la persona, in quanto sua parte essenziale, in ogni istante della sua esistenza; si potrebbe affermare in modo conciso che finché c’è persona, c’è dignità.

La dignità dell’uomo per ragione e per fede

Tale affermazione, che fonda i diritti di ogni persona, non è esclusivamente un dato di rivelazione, in quanto «è pienamente riconoscibile anche dalla sola ragione» (DI 1). Ciò riveste una notevole importanza, in quanto la dignità della persona può trovare posto all’interno degli ordinamenti statali laici, a prescindere dalla confessione religiosa. La Rivelazione conferma il dato di ragione circa la dignità della persona, inquadrandola nella prospettiva della creazione (l’essere umano a immagine somiglianza divina) e della redenzione (l’essere umano salvato da Cristo). Pertanto il riferimento alla Rivelazione non è strettamente necessario per affermare il principio di una dignità al di là di ogni circostanza, in quanto la sola ragione può essere sufficiente a riconoscere che la dignità ha un radicamento nella natura della persona (dignità ontologica). La Dichiarazione non propone particolari argomenti razionali per il riconoscimento della dignità ontologica (compito del pensiero filosofico), però suggerisce una strada da percorrere: la Dichiarazione universale dei diritti dell’uomo del 1948, a cui la Chiesa guarda come «via maestra» per l’affermazione dei diritti di ogni uomo, che «proprio in ragione della sua inalienabile dignità» «deve essere riconosciuto e trattato con rispetto e con amore» (DI 2).

L’impegno della Chiesa nell’affermazione della dignità e dei derivanti diritti di ogni uomo accompagna da sempre la comunità cristiana. La Dichiarazione riprende in estrema sintesi i pronunciamenti degli ultimi papi (Paolo VI, Giovanni Paolo II, Benedetto XVI, Papa Francesco), dedicando a ciascuno un paragrafo.

Una quadruplice distinzione della dignità (DI 7-8)

Va sottolineato il «chiarimento fondamentale» che la Dichiarazione propone sull’espressione “dignità della persona umana”, che «porta a riconoscere la possibilità di una quadruplice distinzione del concetto di dignità: dignità ontologicadignità moraledignità sociale ed infine dignità esistenziale» (DI 7). Per «dignità ontologica» si intende la dignità che «compete alla persona per il solo fatto di esistere e di essere voluta, creata e amata da Dio» ed è una dignità incancellabile e sempre valida. È interessante notare il doppio registro, filosofico e teologico, che definisce questa dignità ontologica: riconoscere la dignità per «il solo fatto di esistere» della persona non richiede un atto di fede religiosa, in quanto l’esistenza di una persona è riconoscibile anche dalla sola ragione e può essere intesa come un principio di argomentazione filosofica, mentre il fatto che la persona è «voluta, creata e amata da Dio» fonda la dignità su un piano teologico (nella convergenza dei piani creativo e redentivo), ovvero nella relazione costituiva di ogni essere umano con Dio. La «dignità morale» si riferisce invece «all’esercizio della libertà da parte della creatura umana» (DI 7) per la quale l’uomo può attuare scelte contro la dignità. Per questo la dignità morale può essere perduta a causa della libera decisione umana, mentre la dignità ontologica «non può mai essere annullata». Si può notare la terminologia con cui la Dichiarazione illustra la dignità morale: si parla di «creatura», «creatura amata da Dio», «legge dell’amore rivelata dal Vangelo» e non di «persona», «esistenza», «legge naturale»; il lessico mostra che la connotazione morale della dignità è da intendere in senso teologico, dato che la perdita della dignità morale è legata al rapporto della creatura con il Creatore. Se la dignità ontologica è comprensibile per ragione e per fede, la dignità morale è comprensibile solo sul piano della Rivelazione, in quanto la conoscenza del peccato è una realtà teologica. Passando alle restanti accezioni di dignità, la «dignità sociale» fa riferimento «alle condizioni sotto le quali una persona si trova a vivere» (DI 8), le quali possono non essere di qualità adeguata alla dignità ontologica (l’esempio riportato è quello della povertà estrema). La «dignità esistenziale» infine afferisce a situazioni esistenziali, che una certa mentalità ritiene meno degne di essere vissute: malattie gravi, contesti familiari violenti, dipendenze patologiche… Si tratta di situazioni che portano la persona a considerare la propria vita come indegna da vivere, non vedendo così quella dignità ontologica che non può mai venir meno.

Davide Ambu

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