Con l’ultimo esame, sostenuto lo scorso 20 giugno [2023], si è concluso per me il primo ciclo di studi teologico presso la Pontificia Università Gregoriana. Sintesi del triennio di Baccalaureato in Teologia può essere considerato il lavoro di tesi (o meglio, l’«elaborato finale»), redatto nel corso dell’ultimo semestre.
La prospettiva che ho voluto adottare nella redazione della tesi è stata quella della teologia fondamentale, specialmente nell’ambito della Rivelazione, della fede e della loro comunicazione e trasmissione in una cultura. Sebbene la mia formazione accademica sia stata particolarmente scientifica e tecnica, ho scelto di non occuparmi del rapporto tra la fede e la ragione, argomento che aveva già accompagnato i miei precedenti studi universitari ingegneristici (la prima enciclica che lessi, ormai un decennio fa, da giovane matricola che si affacciava al mondo universitario, fu la Fides et ratio di Giovanni Paolo II).
Ho deciso infatti di affrontare il tema della relazione tra fede e letteratura, spinto da alcune motivazioni piuttosto personali. Nell’esperienza pastorale di catechesi con i ragazzi che si preparano a ricevere il sacramento della Confermazione più volte ho fatto uso di testi letterali, con richiami a storie e narrazioni di diversi autori (ad esempio, la conversione dell’Innominato nei Promessi Sposi del Manzoni, o le pennellate con cui Dante descrive San Francesco nel Paradiso) e ho notato come si sono rivelati efficaci modalità di comunicazione di realtà della nostra fede. Durante un anno particolarmente impegnativo, poi, mi ha accompagnato la lettura della Spe salvi di Benedetto XVI e de L’arte di essere fragili di D’Avenia; rincuorato da entrambi gli autori, molto spesso mi accorgevo che ciò che scriveva con precisione il papa teologo non era così diverso da quanto un professore di lettere esprimeva in forma più “poetica”: entrambi parlavano della speranza, cristianamente intesa, in forme tanto differenti quanto complementari. Da queste due esperienze nacque la domanda alla quale la tesi ha cercato di dare risposta: è possibile e giusto adottare le forme ed il modo di pensare della letteratura per annunciare la fede?
Questo interrogativo, che echeggia nel titolo del lavoro («Pulchritudo litterarum et scientia theologiæ ad nuntiandam fidem. Esplorazioni teologiche della letteratura»), ha dato forma all’elaborato finale, articolato in tre capitoli brevemente introdotti in una duplice forma linguistica: dapprima una prosa più letteraria, successivamente un “classico” linguaggio accademico. La stessa soluzione stilistica è riscontrabile nell’introduzione e nella conclusione, al termine della quale è possibile comprendere le motivazioni della scelta (l’invito è alla lettura dal link sottostante). Questo viaggio della teologia nelle terre della letteratura è stato svolto in tre tappe. Nella prima, ho evidenziato come la Parola di Dio (ciò che Dio ha comunicato all’uomo) sia polifonica e una delle voci eloquenti sia la Sacra Scrittura; è emerso così che la Parola divina è stata espressa in parole umane e che la Bibbia può essere considerata come la “letteratura” della Parola, di cui ho sottolineato generi letterari ed alcuni elementi retorici, elementi di opera letteraria.
La seconda tappa ha visto interrogare la storia, mostrando come tra teologia e letteratura ci sia stato un rapporto altalenante, iniziato con un’iniziale affinità che man mano è andata in declino per via dell’influenza sempre maggiore della filosofia nei discorsi su Dio, per poi riprendere spazio nel secolo da poco trascorso. La panoramica sommaria che ho offerto ha rimarcato alcuni passaggi-chiave della storia di questa relazione, quali l’età patristica, il contributo monastico, il trionfo della scolastica, le controversie umanistiche e il Novecento teologico.
L’ultima tappa del viaggio, sintetica del cammino percorso, ha proposto una teologia della letteratura, mostrando come essa possa essere considerata un luogo teologico. Tra gli elementi positivi per un recupero della letteratura nel pensare la teologia va segnalata l’importanza del mondo degli affetti, determinanti nel muovere l’uomo all’atto di fede, all’interno di un paradigma di ragione aperta; ciò è possibile considerando il ruolo dell’immaginazione proposto come ponte per portare ad un nuovo modo di pensare teologico.
Ciò che ho potuto apprendere e apprezzare è che «la letteratura serve a generare domande e a viverle […], serve alla felicità perché ne è la mappa […] è il racconto che consente di realizzare il nostro compito, anche quando abbiamo dimenticato tutto e ci siamo smarriti» (A. D’AVENIA, L’arte di essere fragili, 187-188).
Davide Ambu