“Tra il gregge e i pastori: un anno pastorale sotto il manto della Guadalupana”

“Tra il gregge e i pastori: un anno pastorale sotto il manto della Guadalupana”

Da diversi anni, nel percorso formativo del Pontificio Seminario Romano Maggiore, al termine del biennio della tappa discepolare, è previsto un anno intero dedicato al tirocinio pastorale.
Durante questo periodo non si risiede più in seminario, ma nella canonica della parrocchia di destinazione, vivendo con il presbiterio che lì svolge il proprio ministero. È così possibile confrontarsi in modo diretto con la vita dei pastori in mezzo al gregge a loro affidato.

Questa è stata l’esperienza che ho vissuto durante quest’anno nella parrocchia di Nostra Signora di Guadalupe a Monte Mario, situata nel settore ovest della diocesi di Roma. Caratteristica della diocesi è la vita comune nelle case parrocchiali, sempre abitate da più presbiteri e arricchite dalla presenza di sacerdoti studenti provenienti da tutto il mondo.

A N.S. di Guadalupe ho vissuto con Don Gianfranco Corbino, parroco, Mons. Paolo Mancini, vice-parroco, e Don Arun Poyikayil Joy, di rito siro-malabarese, della diocesi di Mananthavady (India), ai quali sono grato per l’accoglienza e il bell’esempio di vita sacerdotale che mi hanno dato.

Una comunità accogliente e viva
Nel quartiere di Monte Mario ho trovato una realtà familiare, definita da molti “un grande paese”. Ho sentito cura e attenzione verso le vocazioni, da parte di fedeli, famiglie e ragazzi che mi hanno accolto come figlio e fratello.
Un ringraziamento speciale anche alla comunità di Nomadelfia e alle suore dei numerosi istituti presenti, vera ricchezza per il territorio parrocchiale.

Catechismo e pastorale giovanile
In questo tempo mi sono dedicato al catechismo, collaborando con le persone che si impegnano a far conoscere Gesù ai più piccoli e prepararli ai sacramenti.
Mi sono inoltre occupato dell’accompagnamento degli adolescenti, insieme a Suor Pina Panetta delle Francescane Alcantarine, che cura la pastorale giovanile parrocchiale.

Non vi è ancora un oratorio strutturato, ma la parrocchia dispone di ampi spazi all’aperto. Ogni pomeriggio i cancelli vengono aperti e il luogo diventa punto di ritrovo per famiglie, bambini e ragazzi, con la presenza costante del vice-parroco come punto di riferimento.

Il gruppo giovani 
È stato edificante partecipare agli incontri con il gruppo giovani (dai 18 anni in su), guidati dal parroco, con spunti tratti dalla Sacra Scrittura, dagli eventi della vita della Chiesa e da brani musicali scelti.

Tra le attività più significative: il gemellaggio con l’Oratorio Santa Giusta di Uta, mia comunità di origine. L’incontro ha previsto una serata di condivisione a Roma durante il loro pellegrinaggio, e in seguito una settimana di Grest a Uta per i ragazzi romani.

Un legame di fede che unisce
Questa esperienza è stata segno della forza del legame tra comunità lontane, unite dalla fede in Gesù Cristo e dall’appartenenza al suo ovile:

“Ogni patria straniera è patria loro, e ogni patria è straniera.
Dimorano nella terra, ma hanno la loro cittadinanza nel cielo.”
(Lettera a Diogneto V, 5.9)

Grato alla Beata Vergine di Guadalupe, continuo ad affidare a Lei il mio cammino e la comunità che vive sotto la sua protezione.

Cristiano Pani

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“Come a casa”: il mio tirocinio pastorale a Sant’Elena

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Una guida preziosa e una comunità viva
Durante il biennio filosofico, ho avuto la grazia di vivere un’esperienza pastorale intensa e profondamente formativa nella Basilica di Sant’Elena Imperatrice, nel cuore di Quartu Sant’Elena. Un cammino vissuto con gioia e gratitudine, che ha segnato in modo indelebile il mio percorso vocazionale e umano. A guidarmi in questo tempo prezioso è stato Mons. Alfredo Fadda, parroco della basilica, insieme ai viceparroci che si sono avvicendati nei due anni: don Gianmarco Lorrai, nel primo anno, e don Euphrem Audrey Hasimana, nel secondo. Con loro, tanti altri collaboratori parrocchiali, a partire dal diacono Rinaldo, i ministri, le catechiste, i gruppi e le associazioni: tutti hanno saputo offrirmi un esempio concreto di Chiesa viva, operosa e accogliente.

Un cammino condiviso
Non ero solo in questo cammino. A condividere con me l’esperienza sono stati diversi seminaristi: Giacomo Pisano, della nostra Archidiocesi di Cagliari, e Giovanni Bianchina, della Diocesi di Ozieri, nel primo anno; nel secondo, Nicola Pinna, della Diocesi di Iglesias. Nel periodo natalizio si sono aggiunti anche due seminaristi del Madagascar, Laurene Carol Randriamanantena e Augustin Patrik Rajaonarisolo, della Diocesi di Morondava.

Un oratorio vivo e un anno giubilare
In questi due anni abbiamo avuto modo di scoprire una realtà parrocchiale sorprendentemente viva. Il grande oratorio, sempre animato da bambini e ragazzi, è stato un vero laboratorio di fraternità e ascolto. La vita liturgica della comunità è stata altrettanto intensa, arricchita in modo particolare dall’Anno Giubilare, che ci ha visti impegnati nell’accoglienza dei pellegrini e nelle varie celebrazioni giubilari. Uno dei momenti più toccanti è stato senz’altro l’ordinazione episcopale di S.E.R. Mons. Mario Farci, celebrata proprio in basilica: un evento storico che abbiamo avuto la gioia di vivere da vicino.

Una comunità che accoglie
In ogni ambito, dalla catechesi alle celebrazioni, dalle attività oratoriali all’incontro con le famiglie e gli anziani, abbiamo percepito una comunità pronta a camminare insieme, nella fede e nella carità. Soprattutto, ci siamo sentiti accolti con affetto sincero. In basilica non siamo stati semplici ospiti, ma fratelli. E, soprattutto, ci siamo sentiti a casa.

Un tempo di grazia e di crescita
Ringrazio il Signore per questa tappa del mio cammino: un tempo prezioso di ascolto, servizio e crescita, nella consapevolezza che ogni incontro, ogni gesto semplice, ogni liturgia vissuta insieme ha lasciato un seme che continuerà a portare frutto.

Paolo Vacca, seminarista

 

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La comunità di Elmas: una tappa preziosa

La comunità di Elmas: una tappa preziosa

Anno nuovo, vita nuova… ma la comunità di Elmas come destinazione di pastorale è rimasta! L’anno accademico che sta per chiudersi è stato il secondo anno in cui ho prestato servizio nella parrocchia di San Sebastiano Martire, affidata alla cura puntuale e paterna di don Marco Orrù.

Il vantaggio di tornare in una comunità che ho avuto modo di conoscere già l’anno scorso è stato quello di poter riprendere a fare servizio e mettere subito le mani in pasta nelle varie realtà a cui il parroco mi ha affidato. Sapevo già che avrei trovato una comunità accogliente, un parroco attento alla mia formazione e dei giovani desiderosi di incontri e di chiacchierate nel campo di calcio.

Come lo scorso anno, don Marco mi ha dato la possibilità di seguire la classe di catechismo di seconda media: è stata questa l’occasione per fare esperienza, ancora una volta, di giovani disponibili a lasciarsi prendere per mano, di ragazzi che hanno nel cuore tante e grandi domande e che attendono qualcuno con cui condividerle. Ancora, insieme a Paolo, Cloè e Alessio, abbiamo continuato il percorso già iniziato l’anno scorso con i giovani delle superiori: la preparazione spirituale per il giubileo degli adolescenti e dei giovani ha caratterizzato la maggior parte degli incontri e delle catechesi del sabato sera.

Tra le altre esperienze che sono state occasione di crescita umana, spirituale e pastorale, c’è l’aver affiancato la domenica mattina alcuni catechisti delle classi delle elementari: se i giovani e gli adolescenti mi hanno rapito per le loro domande e per le loro inquietudini condivise, i bambini mi hanno fatto riscoprire il loro modo di vivere la fede con la spensieratezza e la libertà che, spesso, si perde crescendo.

Al termine di due anni di servizio, cerco di fare sintesi di quanto umilmente ho provato a consegnare (poco) e quanto con gratitudine ho ricevuto (tanto!). In particolare, sono grato per aver fatto esperienza di una comunità che, da subito, mi ha accolto come un loro figlio e che mi ha insegnato a camminare insieme, dandosi la mano e mostrandomi concretamente che davvero nella Chiesa nessuno si salva da solo.

Grazie don Marco.
Grazie ai tantissimi adolescenti e giovani incontrati in questi due anni.
Grazie per ogni persona incontrata: siete stati per me riflesso della Chiesa viva, madre e maestra. Porterò con me i vostri volti, le vostre storie, le vostre preghiere. Voi tenetemi nelle vostre!
Elmas rimarrà per sempre una tappa preziosa nel mio percorso vocazionale.

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“Charitas Christi urget nos”

“Charitas Christi urget nos”

Le parole dell’Apostolo Paolo, “Charitas Christi urget nos” – «l’amore di Cristo ci spinge» – hanno illuminato la vita di grandi santi della carità come san Giuseppe Benedetto Cottolengo, santa Teresa di Calcutta e il beato Nicola da Gesturi. Oggi, quello stesso amore continua a guidare i passi di noi seminaristi che, anche quest’anno, viviamo un’esperienza di servizio pastorale presso il Presidio Ospedaliero Policlinico Universitario Duilio Casula di Monserrato.

Da circa sei mesi, insieme a un compagno della diocesi di Iglesias, condivido questa particolare esperienza che, ogni volta che faccio ritorno in seminario, mi lascia arricchito nel cuore e nello spirito. La nostra presenza si concretizza nella visita quotidiana ai reparti, dove offriamo la possibilità di ricevere la Santa Comunione o, laddove ciò non sia possibile, un semplice momento di preghiera e di ascolto.

Il cuore di ogni giornata è la celebrazione della Santa Messa, alla quale partecipano non solo operatori sanitari, ma talvolta anche alcuni pazienti. È in queste occasioni che si percepisce con forza la presenza di Dio nei volti, nelle storie e nella fede di chi soffre, offrendo la propria vita con grande fiducia.

Più che dare, riceviamo: riceviamo testimonianze profonde, essenziali per il nostro cammino vocazionale. Accanto all’incontro con i malati, si sviluppa inevitabilmente anche un dialogo umano e spirituale con medici, infermieri e operatori sociosanitari, in un clima di collaborazione e rispetto reciproco.

A guidarci in questo percorso è il cappellano dell’ospedale, don Andrea Piseddu, che non solo ci accoglie, ma condivide con noi momenti di preghiera, dialogo e fraternità, accompagnandoci nel servizio pastorale giorno dopo giorno.

Alessio Pilloni

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Camminare insieme: volti, voci e vita a S. Giuseppe a Pirri

Camminare insieme: volti, voci e vita a S. Giuseppe a Pirri

Una delle esperienze principali di quest’anno seminaristico è stata il tirocinio pastorale presso la Parrocchia S. Giuseppe a Pirri, accanto al parroco don Roberto Atzori.
Come lo scorso anno, anche quest’anno la catechesi è rimasta uno degli impegni principali. Assieme alle catechiste ho seguito in particolare i ragazzi che si preparano alla Cresima: un gruppo certamente vivace, ma in cerca di vita vera. Non sempre è stato facile coinvolgerli, ma dietro quell’apparenza di disinteresse si nasconde spesso un desiderio di risposte profonde e di relazioni significative. In questo tempo di incontri, di ascolto, di condivisione, abbiamo camminato assieme, offrendo loro occasioni di confronto legate alla loro vita concreta. È stato un cammino certamente impegnativo, ma ricco di incontri veri e di piccole luci che si sono accese durante il percorso.

Una delle novità di quest’anno è stata la possibilità di formare un coro di bambini: non si è trattato solamente di insegnare i canti da eseguire durante la Messa, ma è stata occasione per accompagnare il piccolo gruppo di dodici piccoli coristi in un percorso fatto di ascolto e condivisione. Attraverso la musica, ognuno ha potuto condividere il proprio talento e superare le proprie timidezze. Il canto è stato così strumento di comunione, unendo bambini di età diverse e i genitori che si sono resi disponibili ad accompagnarli in questo percorso.

Un altro ambito che mi è stato affidato è stato l’accompagnamento dei genitori dei battezzandi, sperimentando quanto sia importante accogliere ogni storia e far sentire ciascuno parte di quella grande famiglia che è la comunità parrocchiale.

Infine, una delle esperienze più toccanti è stata la visita e la comunione portata agli ammalati. Non si è trattato solamente di portare Gesù, ma di sostare, esserci, stare nella vita di quelle persone, con rispetto e discrezione. Una sofferenza condivisa, uno sguardo che ti accoglie senza il bisogno di spiegazioni sono piccoli segni che rimangono impressi e mostrano come quella comunione che porti, accade, si realizza lì con loro.

Porto nel cuore tutto ciò che ho vissuto e sono profondamente riconoscente a don Roberto e a tutta la comunità per l’accoglienza e la fiducia che ho ricevuto.

Enrico Muscas

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