Pubblicata la nuova edizione della Ratio nationalis dei Seminari

Pubblicata la nuova edizione della Ratio nationalis dei Seminari

Pubblicata la nuova edizione della Ratio nationalis dei Seminari

A partire da oggi, 9 gennaio, entra in vigore, ad experimentum per tre anni, il documento “La formazione dei presbiteri nelle Chiese in Italia. Orientamenti e norme per i seminari” (quarta edizione), approvato dalla 78a Assemblea Generale della Conferenza Episcopale Italiana, svoltasi ad Assisi dal 13 al 16 novembre 2023. Il testo, che ha ricevuto l’approvazione della Santa Sede tramite un decreto del Dicastero per il Clero, delinea un percorso formativo per il presbiterato diviso in due fasi: la prima, di carattere iniziatico, si concentra sulla crescita interiore attraverso un forte rapporto educativo con i formatori, puntando su una vita spirituale solida, l’impegno nello studio e nella preghiera, una vita comunitaria intensa e la conoscenza di sé. La seconda fase si orienta verso la scoperta del Popolo di Dio, con un maggiore coinvolgimento della comunità cristiana nella formazione dei candidati al presbiterato.

Il primo capitolo affronta la questione di quale tipo di prete formare e per quale Chiesa, considerando la formazione permanente come elemento centrale per il presbitero italiano di oggi, con particolare attenzione alle dimensioni missionarie e di comunione come pilastri fondamentali del percorso formativo. Nel secondo capitolo si sottolinea che la pastorale vocazionale è un impegno di tutta la comunità ecclesiale, specificando le modalità di accompagnamento vocazionale per i giovani, basato su una solida formazione spirituale. Si conferma l’importanza del Seminario Minore, si propongono le comunità semiresidenziali come nuove forme di accompagnamento e si affronta anche il tema delle vocazioni adulte.

Il terzo capitolo descrive le quattro tappe dell’itinerario formativo delineato dalla Ratio fundamentalis: propedeutica (un anno), discepolare (due anni), configuratrice (quattro anni) e di sintesi vocazionale (un anno). Il modello educativo proposto privilegia l’investimento sugli obiettivi formativi, senza rigidità nei tempi, favorendo la personalizzazione del percorso e evitando che le tappe diventino semplici formalismi legati agli anni degli studi teologici.

Nel quarto capitolo si esplora la formazione nel Seminario Maggiore, che viene presentata come unica, integrale, comunitaria e missionaria, andando oltre l’apprendimento di contenuti teorici o il rispetto delle regole morali e disciplinari, per focalizzarsi sulle motivazioni e convinzioni personali, ossia sulla formazione della coscienza. Due paragrafi trattano la protezione dei minori e delle persone vulnerabili, con l’indicazione per i formatori di utilizzare la pubblicazione “La formazione iniziale in tempo di abusi” come sussidio per i percorsi educativi.

Infine, il quinto capitolo affronta il tema degli agenti della formazione, raccogliendo la proposta emersa dal Cammino sinodale di ampliare la condivisione del processo formativo dei seminaristi, coinvolgendo l’intera comunità ecclesiale e stimolando forme creative di collaborazione, con particolare attenzione alla figura femminile.

ORIENTAMENTI E NORME PER I SEMINARI (4ª EDIZIONE)

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Le mie quattro del pomeriggio: intervista a Samuele Mulliri

Le mie quattro del pomeriggio: intervista a Samuele Mulliri

A pochi giorni dall’ordinazione diaconale, abbiamo rivolto alcune domande a Samuele Mulliri.

Mi chiamo Samuele, ho 26 anni e provengo dalla parrocchia di Sant’Elena a Quartu Sant’Elena. In famiglia sono il primo di tre figli, ho due sorelle più piccole; provengo da una famiglia che sin da piccolo mi ha sempre trasmesso un’educazione cristiana ed è anche grazie a lei che oggi mi trovo a raccontare di me, proprio perché la mia è una vocazione germogliata in parrocchia ma soprattutto in famiglia.

Che ruolo ha rivestito la comunità di origine nel tuo cammino di fede e discernimento vocazionale?

La mia comunità parrocchiale è stata sempre una componente importante del mio percorso di fede. Provenendo da una realtà ricca di attività, l’inserimento in parrocchia è avvenuto sin da piccolo: dalla prima elementare con il catechismo e dalla settimana precedente la prima comunione anche con il coinvolgimento nel gruppo ministranti. Quest’ultimo gruppo è stata un po’ la culla del mio percorso vocazionale visto che tutto è partito da lì ed è li che mi sono sentito affascinato dalla figura del sacerdote.

Quando sei entrato in seminario?

Sono giunto presso la comunità del seminario minore diocesano il 16 settembre 2012 all’età di quattordici anni. Nel vangelo di Giovanni sono rare le volte in cui si specifica l’ora esatta di un determinato evento, la prima è quella dell’incontro conoscitivo dei primi discepoli con Gesù; ecco posso dire che per me il giorno dell’ingresso in seminario minore ha rappresentato le mie quattro del pomeriggio, l’inizio di una splendida avventura. Di quel giorno ricordo ogni minimo particolare: dalla scansione oraria di tutte le attività o incontri svolti alle emozioni che ho provato. Raggiungevo finalmente il posto che per i quattro anni precedenti avevo desiderato chiamare casa. E devo dire che per i cinque anni successivi ho realmente sentito quel posto come casa. Ho iniziato la mia formazione dal seminario minore, quindi insieme al percorso del liceo classico presso l’Istituto Salesiano Don Bosco. Sono state queste le due realtà che mi hanno accompagnato dai quattordici ai diciannove anni.

Come ricordi l’esperienza del seminario minore?

I cinque anni trascorsi in seminario minore sono stati veramente una bottega da cui attingere qualunque cosa, tanto che ogni anno andavo via più arricchito di quanto fossi entrato, è stato anche il luogo in cui conoscere meglio me stesso e i miei limiti, specialmente questo grazie alla ricchezza del poter condividere questa esperienza con altri ragazzi, che come me erano li per dare luce al desiderio della vita sacerdotale.

Componente molto importante durante il mio percorso sono state le persone che mi hanno circondato: dai miei compagni di viaggio, ai superiori che si sono susseguiti negli anni, agli amici del seminario che in qualche modo fanno parte di questa grande famiglia.

Come è proseguito il tuo cammino formativo?

Completato il percorso seminaristico nell’estate del 2017 in contemporanea a quello scolastico con il diploma, a settembre ho proseguito la mia formazione presso la comunità propedeutica regionale. In quest’anno, che mi ha preparato all’ingresso in seminario maggiore, ho potuto assaporare la preziosità del donarsi agli altri: infatti la componente più pregnante per me è stato il servizio in parrocchia, ancora una volta nella mia comunità d’origine. In quell’anno ho avuto la possibilità di rapportarmi con varie fasce della pastorale giovanile della parrocchia: il gruppo ministranti, il servizio da educatore per i cresimandi e di educato con gli altri giovani della parrocchia, oltre al consueto servizio liturgico alle innumerevoli celebrazioni. Completato l’anno propedeutico, in cui ho avuto la possibilità anche di iniziare il percorso universitario presso la Pontificia Facoltà Teologica della Sardegna, ho proseguito il cammino nella comunità del Pontificio Seminario Regionale Sardo.

Dalla piccola comunità del seminario diocesano al grande contesto regionale …

Sì, questi sono stati gli anni delle amicizie significative: essendo una comunità più numerosa del seminario minore è stata una grazia l’aver legato con alcune persone in maniera più stretta e questi sono legami che ancora oggi custodisco nel cuore. Negli anni del seminario maggiore una componente importante è la pastorale: nei tre anni trascorsi a Cagliari sono state due le comunità che hanno accolto il mio servizio pastorale: Sant’Elena a Quartu e Sant’Avendrace a Cagliari. Mi soffermo maggiormente su quest’ultima, in cui ho trascorso due anni ed in cui mi sono sentito sin da subito accolto da una comunità che iniziava un percorso. Ancora oggi, infatti, i parrocchiani sono distanti dalla loro chiesa come luogo fisico, perché soggetta a scavi archeologici ma che, con la sapiente guida del parroco don Alessandro Simula, vive la fede in maniera genuina e nel rispetto dell’adattamento del salone parrocchiale a luogo di culto. A loro devo sicuramente la conoscenza in maniera più intensa di una realtà molto diversa rispetto alla mia d’origine, ma che mi ha trasmesso tanti stimoli.

Il cammino di formazione al sacerdozio è spesso costellato di esperienze significative, ne ricordi qualcuna con più gratitudine?

Certamente, permettetemi una digressione sulle esperienze più significative di questi tre anni. Sono tre le esperienze che mi piace citare: la GMG di Panama, l’agorà dei giovani a Roma e il mese di servizio al Cottolengo di Torino. Sono state tre esperienze completamente diverse tra loro e ciascuna mi ha lasciato qualcosa di diverso e le ripercorro ancora con grande emozione.

Il tre ritorna spesso …

Il numero tre ha un po’ accompagnato il mio percorso vocazionale: sono tre infatti anche gli anni trascorsi presso il Pontificio Collegio Leoniano di Anagni. È stata questa la comunità e la struttura che ha accolto il mio quarto, quinto e sesto anno di formazione. Su questo stesso sito trovate un articolo in cui racconto nello specifico questa magnifica esperienza, sottolineo soltanto la ricchezza che sono stati questi tre anni. Mi sono approcciato a questa esperienza in punta di piedi e dopo ormai sei mesi dal mio ritorno a Cagliari posso dire che il bagaglio esperienziale ed emotivo con cui sono rientrato è vastissimo. Ho portato con me volti, storie, incontri, amicizie…

Sono stati tre anni in cui il Signore mi ha fatto comprendere che era quello il posto pensato per me: dalla vita comunitaria vissuta come una vera famiglia, alle esperienze pastorali presso le parrocchie di San Giuseppe lavoratore, Santi Filippo e Giacomo e San Francesco, a tutte le esperienze formative durante il sesto anno: le fonti di arricchimento sono state veramente tante e tanto variegate, tra cui anche la mia terza GMG a Lisbona. Il tutto è stato guidato dalla mano sapiente e docile della Beata Vergine Maria con il titolo di Mater Salvatoris, patrona del collegio.

Ora sei tornato in terra sarda, arricchito da tante esperienze e proteso verso nuovi inizi. 

A conclusione del percorso formativo residenziale in seminario mi è stato chiesto dall’Arcivescovo di intraprendere una nuova missione ovvero quella dell’insegnamento. Insegno per quattro ore presso l’istituto comprensivo “Cristoforo Colombo” a Cagliari, nello specifico in due seconde medie e in due terze medie. Esperienza nuova che ho approcciato con estrema umiltà e disponibilità al progetto di Dio su di me, incontrando i ragazzi e con loro anche le loro storie e le loro preoccupazioni legate alla vita scolastica.

Cosa è cambiato da quando hai ricevuto notizia della tua imminente ordinazione diaconale?

Oltre all’insegnamento, dal 2 novembre, è sorta in me una nuova “scatola” di emozioni. È questa infatti la data in cui Mons. Baturi ha comunicato a me, Lorenzo e Davide il suo intento di ammetterci all’ordine del diaconato ed ora, che il tempo si accorcia e quella data del 21 dicembre si avvicina, vivo questi giorni con profonda trepidazione.

A chi mi ha sempre chiesto perché volessi diventare sacerdote io ho sempre risposto che il donarmi agli altri ha sempre trovato il punto più alto del mio percorso vocazionale, con il diaconato noi verremo associati a Cristo servo, esempio perfetto di donazione di sé per gli altri. Inoltre con il diaconato faremo anche promessa di celibato, donando la nostra stessa vita a Dio e al popolo che ci verrà affidato.

 

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Dal 1 al 4 agosto, in compagnia di altri giovani della nostra diocesi, abbiamo vissuto l’esperienza del campo nazionale del settore giovani di Azione Cattolica.
L’incontro ha avuto luogo a Castellammare di Stabia, una splendida città affacciata sul mare a 30 km da Napoli.
Lì abbiamo incontrato più di cento giovani provenienti da tutta Italia, desiderosi di condividere con altri la loro passione per il Vangelo e ricevere nuovi stimoli dai relatori e dall’incontro coi loro coetanei.
“Fatta a mano” era il tema dell’incontro. Un’espressione sintetica per esprimere il desiderio di riflettere insieme sulla dimensione comunitaria e unitaria della responsabilità. Così il sito del settore presentava le motivazioni del campo: “Le forme di servizio che maturiamo in Associazione interpellano ciascuno di noi, dentro la nostra vita e ci pongono necessariamente in relazione agli altri. Essere responsabili in AC non è un gioco per battitori liberi, bensì di squadra”.
Oltre ai segretari nazionali e agli assistenti del settore giovani e del MSAC, abbiamo ascoltato gli interventi di don Gigi Verdi, fondatore della Fraternità di Romena, e Giuseppe Notarstefano, Presidente Nazionale.
Al Seminario Arcivescovile e alla nostra AC diocesana, la gratitudine per averci coinvolti in una così significativa esperienza di dialogo con tanti coetanei impegnati anch’essi nell’evangelizzazione e nell’accompagnamento dei giovani.

Leonardo Piras e Cristiano Pani

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Due anni di pastorale a Sant’Ugo: la mia esperienza a Roma

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Mi chiamo Cristiano Pani, ho 21 anni e quest’anno ho terminato il biennio filosofico presso il Pontificio Seminario Romano Maggiore.

In questi due anni che ho trascorso a Roma ho prestato servizio nella parrocchia di Sant’Ugo, situata nel quartiere Serpentara; una parrocchia assai giovane, fondata nel 1985 dal cardinale vicario Ugo Poletti, la cui chiesa è stata consacrata nel 1991 e attualmente comprende un territorio di circa 20.000 abitanti. Rispetto ai numeri standard delle parrocchie della nostra diocesi, ho incontrato un ambiente molto più vasto, in cui mi sono potuto confrontare con tante realtà diverse. In primis sottolineo la ricchezza data dalla diversità di provenienze dei sacerdoti, dei diaconi e dei seminaristi che, come me, sono stati in questa comunità durante questi due anni. Si passa, infatti, da Roma alla Colombia, alla Puglia, alla Calabria, Uganda e persino Vietnam; questo ha permesso una condivisione ad ampio raggio, in cui ciascuno ha potuto leggere dai racconti dell’altro come la santa madre Chiesa, in tante forme variegate, continua la sua missione, affidatale dallo stesso Gesù Cristo, di portare la buona novella ad ogni uomo sulla faccia della terra. La stessa parrocchia coltiva lo spirito missionario, collaborando in una missione in Mozambico.

La comunità di Sant’Ugo è molto attiva e si prende cura di ogni persona, attraverso gruppi che coinvolgono tutte le fasce d’età. Il parroco, Don Diego Conforzi, mi ha affidato il compito di parlare di Gesù ai più piccoli, ogni venerdì, seguendo il gruppo dell’Azione Cattolica composto da bambini dai 6 agli 8 anni, collaborando con due ragazze da tempo inserite nell’AC. Lo stesso giorno, con cadenza settimanale, ho affiancato due catechisti del post-cresima, occupandomi quindi dei ragazzi adolescenti, con i quali abbiamo vissuto anche la bella esperienza della convivenza quotidiana negli ambienti parrocchiali, durante i 10 giorni di missione che ogni anno aprono la ripresa in seminario dopo le vacanze estive. In questo stesso contesto ho sperimentato, da una parte, le difficoltà di una grande città, in cui opera anche la criminalità, in quanto, appena arrivato là per la missione, ho subito un furto in cui a me e ai miei compagni sono stati sottratti i bagagli. Dall’altra parte, invece, ho incontrato il buon cuore di tanti cristiani e dei sacerdoti, che con le loro opere buone continuano a risplendere come la lampada che Sant’Ugo tiene in mano e ci hanno aiutato a rimediare al danno subito, per poter continuare la nostra attività con il gruppo dei giovani. Possano valere per tutti loro le parole del Signore quando dice: “Chi avrà dato da bere anche un solo bicchiere d’acqua fresca a uno di questi piccoli perché è un discepolo, in verità io vi dico: non perderà la sua ricompensa” (Mt 10, 42).

Ogni domenica, infine, ho prestato servizio nell’aula del catechismo in preparazione alle prime comunioni, insieme ad una catechista che da tanti anni si dedica a questo; abbiamo accompagnato i bambini nello scoprire sempre di più la buona notizia annunciata nelle Scritture e il tesoro di grazia contenuto nella frequentazione dei Sacramenti.

Con tanta gratitudine per quanto ricevuto, ho terminato quest’anno il mio servizio presso la parrocchia Sant’Ugo, che mi lascia un bel bagaglio di esperienze vissute da custodire.

Cristiano Pani

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Sono Michele, ho 26 anni e ho vissuto l’esperienza pastorale del fine settimana, in questo I anno al Pontificio Seminario Regionale Sardo, presso la Parrocchia San Pantaleo in Dolianova, insieme a Mario, un compagno proveniente dalla diocesi di Ozieri.

La comunità non era a me totalmente sconosciuta, sia per via dell’amicizia con il parroco, don Mario Pili, come me originario di Settimo San Pietro, sia per l’amicizia con alcuni ragazzi dell’oratorio, diversi conosciuti negli anni grazie ai pellegrinaggi a Lourdes dell’Unitalsi. Tuttavia, è stato diverso trovarmi lì come ‘inviato’ e non come ‘semplice spettatore’ o ospite. L’anno appena trascorso è stato, quindi, una grande occasione di crescita, umana, formativa e spirituale. Un invito all’attenzione e alla disponibilità verso Colui che “fa nuove tutte le cose” per cogliere sempre più un elemento di novità e di ricchezza in ogni momento vissuto e in ogni volto incontrato. Per uno come me, abituato a voler fare tante (forse troppe) cose, la pastorale mi ha educato al saper stare, soprattutto nel silenzio e nell’ascolto dell’altro.

La bellezza e il fascino della Cattedrale romanica, ex sede dell’antica diocesi di Dolia, si riflettono nella ricchezza umana di una comunità dove tanti, giovani e meno giovani, si spendono secondo la propria sensibilità e i propri doni nella diversità dei servizi. Dal catechismo, all’animazione liturgica, dall’oratorio alle feste tradizionali, come quel “meraviglioso poliedro” che è la Chiesa.

Come seminaristi, oltre all’animazione della messa e al servizio liturgico, abbiamo avuto l’opportunità di vivere diversi momenti insieme ai giovani animatori dell’oratorio, anche di respiro diocesano o legate all’Azione Cattolica, e di incontrare nelle aule del catechismo i bambini dopo la messa della domenica. Non solo lo stare con i piccoli, ma anche con coloro che necessitano di uno sguardo e di un’attenzione particolare: in me sono impressi gli sguardi, i saluti e le parole di coloro che sono ospiti presso la Casa dell’Età Serena “Monsignor E. Piovella”, sotto la cura delle Suore Compassioniste Serve di Maria.

Come ricorda papa Francesco, “la Chiesa è e deve essere la famiglia di Dio”. Posso senz’altro dire che il mio cuore è colmo di gratitudine perché in quest’anno pastorale mi sono sentito accolto e a casa. La gioia e l’affetto della comunità sono stati reale espressione di quello spirito di familiarità della Chiesa, di cui siamo chiamati a essere “pietre vive”. Tanto è stato ciò che ho ricevuto e che, davanti al cammino che mi attende, custodisco nel cuore, con lo sguardo rivolto al Signore per una comunità, S. Pantaleo, che è stata per me reale famiglia di Dio.

Michele Fanunza

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